sabato 21 maggio 2011

LA MOSCHEA DI DAMASCO, SIRIA

Considerata dall’Islam come una delle meraviglie della cultura musulmana, la Moschea di Damasco è la più antica pervenutaci nelle sue strutture fondamentali. Fu costruita durante la dinastia Omayyade dal califfo Al-Walid (705-715), tra il 706 e il 715 d.C., ed eretta sulle fondamenta del tempio di Giove Damasceno che ne ha condizionato la realizzazione. Difatti la moschea sorge sull’antico temenos romano che ne ha determinato le dimensioni di 157x100 metri nonché il basso corso di alcuni muri nelle zone orientali e meridionali della moschea, così come le entrate posizionate ad est e ovest. Nel muro meridionale una possibile porta romana è ora nascosta dai mercati. Tutte le altre strutture sono dell’epoca di Al-Walid, sebbene nel 1893 un incendio abbia distrutto gran parte della struttura determinandone la conseguente riedificazione.

Il tempio di Giove Damasceno.
Nella zona dell’attuale moschea, durante il periodo aramaico (fine II mill. – inizio I mill. a.C.) veniva adorato il dio Hadad, signore della tempesta, dispensatore di pioggia e protettore dei raccolti. Un ortostato in basalto raffigurante una sfinge  e datato al I millennio a.C. è stato ritrovato nell’angolo nord-est della moschea. Lo stile di questo importante ritrovamento sembra essere quello in voga in Siria e in Palestina nel IX secolo a.C. Ciò testimonierebbe la presenza di un antico santuario dedicato al dio cittadino tra i più importanti dell’antichità. Purtroppo la presenza della moschea e la situazione urbanistica di Damasco non permettono un approfondimento dal punto di vista archeologico.
In epoca romana il dio Hadad venne identificato con Zeus Yupiter, signore del fulmine. Sono state individuate antiche vestigia  dell’originario edificio di culto risalente con molta probabilità al I secolo a.C. e poi modificato sotto i Severi. Grazie a queste rimanenze, alcune incorporate nella moschea stessa mentre altre sono ancora visibili nelle immediate vicinanze, è stato possibile risalire alla planimetria del tempio.
Sono state individuate due cinte parallele. La prima si riferisce al temenos, probabilmente di I secolo d.C., circondato da botteghe addossate al muro interno e   precedute da un immenso portico a colonne che formava la galleria. Dei propilei simmetrici due a due precedevano questa zona e permettevano l’accesso al temenos da ogni lato. Attualmente sono ancora visibili in loco rimanenze del propileo occidentale, ovvero l’entrata occidentale al tempio, che ora si trova all’entrata del suk, l’attuale porta detta Bab Jairun. Un’altra entrata a sud è stata murata e riutilizzata per il muro del mihrab. Le colonne corinzie di epoca romana sono state riutilizzate nella corte e all’interno della moschea, mentre durante il periodo bizantino colonne romane furono impiegate per erigere degli archi ancora visibili vicino il propileo ovest e nelle vicinanze dell’entrata nord della moschea.
La seconda cinta si trovava all’interno del temenos stesso, si trattava di un peribolo con galleria e portici colonnati e con pilastri coronati da una cornice in stile egiziano. Quattro torri si trovavano ad ogni angolo interno del peribolo. A metà del lato est un’entrata monumentale a tre porte era preceduta da un propileo, mentre una tripla porta era al centro del lato ovest. Due sale, alle quali si accedeva attraverso una tripla porta, erano addossate al muro esterno.
All’interno della corte, delimitato dal peribolo, c’era il naos che doveva contenere tesori e statue di Giove. Il tempio fu probabilmente ricostruito o restaurato nel III d.C. sotto Settimio Severo e Caracalla.

La chiesa di San Giovanni Battista e la moschea di Al-Walid.
Dopo Teodosio, nel 399, la Siria era ormai sotto l’impero bizantino e Damasco divenne una succursale di Costantinopoli. All’interno del tempio si istallò il culto cristiano e sul peribolo venne edificata una chiesa dedicata a San Giovanni Battista. Probabilmente il perimetro dell’antico tempio fu rispettato e le torri riutilizzate come campanili. Secondo ipotesi recenti nel 629 Eraclio (610-641), imperatore di Bisanzio,  avrebbe costruito una nuova chiesa poiché  un terremoto, nel 602 d.C., e l’invasione persiana, nel 613 d.C., avevano prodotto gravi danni alla struttura. E’ su questa nuova chiesa che si sarebbe impostata l’odierna moschea. Purtroppo non ci sono testimonianze certe a riguardo. I testi a cui si fa riferimento sono infatti di XVII secolo.
Nel 634 i Musulmani si scagliarono contro l’impero bizantino e sasanide sconfiggendo Eraclio e prendendo Damasco nel 635/6 guidati dal Califfo Omar (634-644) discepolo di Maometto. La chiesa non venne demolita, sebbene i conquistatori si fossero installati nel peribolo del tempio antico. Il rispetto delle religioni altrui era dato dal pagamento di una tassa, la jiziya, con la quale veniva concessa la libertà di culto.
Subito dopo l’occupazione musulmana probabilmente in molti fuggirono da Damasco, soprattutto cristiani, lasciando ai musulmani molti luoghi di culti e campo d’azione illimitato. La presa di Damasco e della provincia bizantina di Siria aveva già da tempo comportato una maggiore gravitazione dell’interesse politico verso queste zone e con l’avvento delle lotte di successione e la presa di potere da parte della dinastia degli Omayyadi (661-750)  l’importanza della Mecca e di Medina, fino ad allora capitali indiscusse dell’Islam, persero importanze e per effetto del trasferimento del califfato a Damasco quest’ultima divenne la nuova capitale. Fu per questo motivo che al-Walid, terzo califfo omayyade, decise di intraprendere la costruzione di una grandiosa moschea il cui scopo fosse quello di donare alla crescente popolazione musulmana di Damasco un luogo in grado di rivaleggiare con le grandi basiliche cristiane che in Siria erano molto numerose. La moschea assunse  quindi un doppio carattere, politico e religioso: centro assoluto della fede e punto focale del potere politico, anche per la sua stretta dipendenza topografica con il palazzo del governo.
La tradizione e la letteratura araba sono discordi sulle modalità con le quali avvenne la costruzione di questa moschea e sulle sorti della chiesa di San Giovanni Battista. Secondo i testi arabi la chiesa fu oggetto di condivisione tra cristiani e musulmani fino al momento in cui al-Walid non occuperà la parte destinata ai cristiani con l’intento di costruire la moschea. Da un’analisi dettagliata dei testi in realtà si evince che non esisteva condivisione bensì due monumenti distinti e separati in due punti della cinta. Un’iscrizione su mosaico in vetro posta sopra il mihrab parla della decisione di al-Walid di distruggere la chiesa nel 705 d.C. per costruire la moschea, mentre altri testi lasciano pensare che ci fosse una chiesa di V secolo d.C. e che la moschea costruita nelle vicinanze fosse divenuta troppo piccola per il crescente numero di fedeli.
Probabilmente cristiani e musulmani condivisero un edificio ma non si trattava della chiesa vera e propria bensì, con ogni probabilità, del peribolo antico dove c’erano due costruzioni. I musulmani tolleravano la chiesa, che si trovava ad ovest, verso l’antico naos, e decisero di costruire a sud-est. Cristiani e Musulmani accedevano al complesso dalla stessa porta, quella del tempio originario. Ciò fino al 705 d.C. quando al-Walid decise di distruggere la chiesa per far posto alla moschea, risparmiando le mura del temenos e le quattro torri angolari.

La moschea oggi.
Il sahn ovvero la corte a cielo aperto. Le sue dimensioni sono di 122x50 m. ed è circondata da portici su tre lati con pilastri alternati a due colonne. Attualmente su di essa si aprono tre porte, rispettivamente sui lati nord, est e ovest, ma resta ancora oscuro il sistema adottato anticamente per accedere dalla corte al santuario. Sul lato sud la corte permette l’accesso all’interno della moschea tramite un magnifico portale che immette direttamente nella sala preghiera e che in origine era riservata al  califfo e connessa direttamente al palazzo reale omayyade.
Nella corte di trovano tre elementi fondamentali per la vita e la tradizione della moschea:

La Kubbat al-Kazneh, anche detta Bait al-Mal. Si trova nella parte nord-ovest della corte. E’ la cosiddetta Cupola del Tesoro, una costruzione ottagonale coperta da una  cupola e sollevata da otto colonne con capitelli forse di II d.C. In origine era interamente ricoperta di mosaici. Fu costruita nel 788.  In questo piccolo edificio  veniva conservato il tesoro della comunità musulmana, una pratica risalente alle prime fasi dell’Islam. Generalmente questo tesoro era custodito nella moschea più importante della città.
La Cupola degli Orologi.  Anch’essa nella corte a cielo aperto che precede la moschea ma nel settore est. Fu  probabilmente costruita per controbilanciare la presenza dell’altra cupola, quella del Tesoro, nel XVIII sec. e veniva utilizzata per conservare gli orologi della moschea.
La Fontana delle Abluzioni. E’ posizionata tra le due cupole, quella del Tesoro e quella degli Orologi. Fu costruita per provvedere al bisogno di pulizia richiesta dalla preghiera. E’ costituita da un balcone in legno con balaustra e un tetto in metallo con una cupola alla sommità.
I minareti.
L’appello alle preghiere in origine era lanciato dalle quattro torri romane del tempio di Giove Damasceno. Solo più tardi vennero costruite della apposite torri il cui compito sarà anche quello di testimoniare la vittoria dell’Islam.
Sono ben tre i minareti della moschea degli Omayyadi, costruiti in diverse circostanze e da diversi committenti. Due si trovano sul lato sud e si basano sulle torri angolari romane dell’antico tempio. Il terzo si trova sul lato nord.

Il Minareto di Gesù, detto Issa. Si trova nell’angolo sud-est della moschea. E’ il minareto più alto, chiamato così perché secondo l’Islam il Giorno del Giudizio Gesù discenderà dai cieli passando per questo luogo. L’antica costruzione omayyade fu rimpiazzata nel 1247. La parte più alta è del periodo ottomano.
Il minareto di Al-Gharbiyya. Si trova nell’angolo sud-ovest della moschea. E’ il più elaborato dei minareti con una ricca decorazione della pietra. Fu commissionato dai Mamelucchi e costruito nel 1488.
Il Minareto della Sposa,  detto al-Arus. Si trova sul lato nord della moschea nella vicinanze della porta Bab al-Amara, quasi in asse con l’entrata alla moschea propriamente detta.  E’ il più antico dei tre minareti omayyadi. Fu costruito nel 985 ma non ci sono prove certe sulla committenza di al-Walid. La parte bassa risale al IX sec mentre la parte alta fu aggiunta nel XII sec. Si tratta di una torre rettangolare. Secondo la tradizione deve il suo nome ad un commerciante locale che ne pagò le spese in onore della figlia promessa sposa del califfo.

La sala di preghiera
La sala di preghiera è divisa in tre navate parallele al muro della qibla, cioè il muro verso il quale ci si rivolge per pregare e che all’inizio della storia dell’Islam Maometto indicava con una lancia piantata al suolo in direzione di Gerusalemme.  Difatti  all’epoca del Profeta  la Kaaba era considerata contaminata dal culto dedicato ad una divinità nabatea, Hubal. Fu solo nel 624 che Maometto, dopo aver ripristinato il culto originario alla Mecca, decise di cambiare la direzione della qibla e rivolgere la preghiera verso la Kaaba, opportunamente restaurata e riportata all’antica sacralità. Il muro della qibla di Damasco è posizionato a sud, e le tre navate parallele sono tagliate da un ampio transetto perpendicolare ad esse che si affaccia mediante tre aperture sulla grande corte porticata. Ogni navata è divisa da arcate poggianti all’interno su due serie di colonne in doppio ordine, mentre all’esterno, verso la corte, su pilastri. Il transetto taglia, secondo l’asse del mihrab (la nicchia posta nel muro della qibla) le tre navate, e su di esso si imposta la cupola che ha sostituito  quella più antica in legno del  1082-1083 distrutta da un incendio. E’ la cosiddetta Cupola dell’Aquila, la maggiore della moschea, venne distrutta dal terremoto del 1893 per poi essere restaurata. Di conseguenza l’alzato risulta ormai di epoca moderna. È così chiamata perché secondo la tradizioni la cupola rappresenta la testa di un’aquila, il transetto il corpo, le sale di preghiera sono le ali. Il resto della sala di preghiera aveva una copertura a capriate a doppio spiovente mentre la luce, sia nella sala che ne transetto, è data da una serie di finestre.
In origine la cupola  doveva trovarsi più vicino al mihrab in corrispondenza della maqsura, un recinto formato da grate di legno e riservato al sovrano e alla sua famiglia, forse per protezione dagli attentati
Le tre ali della sala di preghiera hanno colonne  monolitiche di spoglio, capitelli  con abachi  e archi. Sopra gli archi è aggiunta una piccola arcata.
Nel progettare la moschea gli architetti decisero di adottare la pianta di Medina con corte porticata  con santuario posto in profondità e consistente non in una sala ipostila bensì in una zona tripartita, forse per influenza delle chiese cristiane. La nave assiale che taglia i tre corridoi è una vera innovazione che rappresentò un modello  standard in Siria e altrove. Probabilmente il motivo è da porsi in relazione alle cerimonie reali omayyadi e  alla volontà di enfatizzare l’area riservata al principe ad imitazione della sala del trono nei palazzi.
La pianta della moschea è importante per diversi motivi, prima di tutto l’originalità rispetto alle diffuse moschee irachene, poi anche perché le tre ali del santuario con la nave assiale e le proporzioni in parte imposte dalle fondazioni romane ne fecero uno standard in Siria e altrove sebbene le altre due moschee di al-Walid non presentino tali caratteristiche avendo entrambe sale ipostile con ali parallele tra le quali quella centrale è la più ampia e conduce alla qibla.
Il mihrab
Nel muro della qibla ci sono quattro nicchie, i cosiddetti mihrab,  una delle quali è chiaramente moderna, mentre la datazione delle altre non è chiara.
Si conserva ancora l’antico mihrab: si tratta della nicchia nel muro della qibla che indica la direzione della Mecca, assente nelle prime moschee. L’intero complesso sembra non abbia bisogno di questa indicazione visto che l’intera pianta indica la direzione della preghiera. In questo caso dunque il mihrab sembrerebbe una sorta di sala del trono divenendo con il tempo un elemento fisso nelle moschee. Secondo gli scrittori medievali il mihrab concavo comparve per la prima volta con al-Walid a Medina, nella moschea che sorge sui resti della casa del profeta. Questo mihrab si trovava nel luogo in cui secondo la tradizione il profeta era solito posizionarsi durante la preghiera e non quindi nel mezzo. Si tratta di voler sottolineare il luogo in cui il primo imam sostava. Quindi dalla moschea di Medina, grazie ad al-Walid, questo concetto fu esportato in tutto il mondo islamico.
L’origine del mihrab va ricercata nella nicchia dei tempi classici che attraverso le modificazioni subite nelle chiese copte con il haikal e nelle sinagoghe con la nicchia per contenere il rotoli della Torah. Nel periodo omayyade la qibla entra in relazione con la cupola di fronte alla parte centrale  del muro della qibla. Le cupole rappresentano un modo per onorare un luogo sacro e quindi già esistenti nel periodo pre-islamico in Arabia. Il primo esemplare è quello di Medina.
Il Minbar, una sorta di pulpito, originariamente un trono simbolo della sovranità e seggio del capo della comunità dal quale veniva pronunciato il discorso che nel cosro dei secoli acquisì una carattere strettamente religioso più che politico. A Damasco esso  è collocato al centro della sala di preghiera sotto la cupola dell’Aquila. La decorazione è di tipo musivo e ad intaglio.
Tutti questi elementi direttamente ricollegabili sia alla sfera religiosa che a quella regale sono tipici del periodo omayyade  dei primi dell’VIII secolo.

La decorazione interna.
L’incendio del 1893 ha distrutto quasi completamente i mosaici che ricoprivano l’intera moschea e ad oggi  restano solo alcune tracce dell’antica decorazione  sebbene in condizioni tali da poterne apprezzare l’altissima qualità artistica. Questi mosaici erano eseguiti con la tecnica bizantina (probabilmente da maestranze bizantine) con tessere in vetro colorate e dorate. Le tematiche sono esclusivamente a carattere paesaggistico con ricca vegetazione molto realistica e città spesso fantastiche e scenografiche a simboleggiare il mondo pacificato sotto la protezione dell’Islam. Ricorre qui  una caratteristica  distintiva dell’arte islamica, la mancanza di figurazioni di uomini e animali, sebbene l’arte pre-islamica non manchi di eccezioni.
L’originalità di questa decorazione sta nell’introduzione dei temi architettonici. Edifici di diverso genere compaiono insieme all’elemento naturalistico. La parte meglio conservata è quella del muro del portico ovest dove sono rappresentati corsi d’acqua lungo i  quali sorgono splendidi alberi e una serie di architetture, piccole case  che circondano una chiesa, una piazza circondata da portici, palazzi ecc. Lo stile tende ad una rappresentazione di tipo illusionistico e fantastico e la varietà impiegata è indice di una ecletticità voluta non solo dagli artisti stessi ma anche dai loro committenti. Il gusto cattolico persiste ed è notevole in tutte le sue forme.
Il significato di questi mosaici è controverso. Secondo alcuni scrittori medievali vi sono rappresentate tutte le città del mondo mentre studiosi contemporanei vi vedono la città di Damasco. Probabilmente tutto va interpretato secondo l’ideologia conquistatrice omayyade oppure tenendo presente l’ideale della “città di Dio” derivata da forme classiche e post-classiche relative al paradiso terrestre, trascurando in questo caso le creature viventi. Il paesaggio idealizzato può riferirsi al paradiso musulmano considerando anche il fatto che, secondo fonti tarde, la corte della moschea era paragonata ad esso.
Ovviamente le obiezioni a tali supposizioni sono diverse. La spiegazione finale tende ad essere una combinazione di tutte le ipotesi. Il primo interprete dei mosaici fu al-Muqaddasi, scrittore del X secolo, il quale sosteneva quanto fosse difficile trovare una città o un albero che non fosse stato rappresentato in questi mosaici. Sicuramente si tratta di una volontà di esprimere un’attenzione per il ritratto del paesaggio includendo addirittura le chiese, tutti luoghi che risultano però controllati dagli omayyadi. Allo stesso tempo però la caratteristica di queste decorazioni è anche quella di fornire un’illusione, un carattere non specifico a molte composizioni. Si vuole esprimere il concetto di Età d’Oro il cui inizio coincide con il dominio dell’Islam sulla natura e l’uomo. L’Islam vuole porsi come elemento rassicurante per la vita dell’uomo sulla terra.

All’interno della moschea si trovano diversi mausolei dove riposano personaggi importanti per la storia dell’Islam e ancora oggi oggetto di pellegrinaggi:
La Cappella di Hussein, il nipote di Maometto. Ucciso nel 680 a Karbala. È meta di pellegrinaggio di molti fedeli sciiti.
Il Mausoleo di San Giovanni Battista. I musulmani lo venerano come il profeta Yahya ed è menzionato nel Corano. Secondo la tradizione fu al-Walid a trovarla. La cappella è del periodo ottomano, quando fu rimpiazzata quella in legno distrutta nel 1893. I testi arabi riportano la storia del presunto ritrovamento del cranio da parte di al-Walid in una cappella e di come l’avesse posta sotto un pilastro della moschea da lui indicato, il cosiddetto Pilastro dell’Umiltà (secondo altri si troverebbe sopra la porta detta Bab Jayrun). Ciononostante ci sono altri luoghi che reclamano la detenzione di questa testa, tra cui Alifax e Roma (Basilica di San Silvestro in Capite).
Il Mausoleo di Saladino. Si tratta del capo dei Saraceni vissuto nel XII secolo e difensore dell’Islam durante la Seconda e Terza Crociata. Il mausoleo trova in un giardino accanto alla moschea. Si tratta di una costruzione semplice con cupola al cui interno si trovano due tombe. Quella di Saladino, in legno, è ora racchiusa all’interno di una cassa in vetro. Accanto ad essa una costruzione in marmo bianco donata da Guglielmo II di Germania nel XIX secolo per rimpiazzare l’originale.
Di fronte al mausoleo di Saladino si trova un’area archeologica che racchiude resti delle antiche colonne romane e frammenti di muratura dell’antico tempio.

Per approfondire:
Ettinghausen, R. The art and architecture of Islam. 650-1250 / Richard Ettinghausen, Oleg Grabar,  New Haven and  London, Yale University Press, 1994.
Grabar, O. La grande mosquee de Damas e les origins architecturales de la mosques, in “Synthronon” (Biobliotheque des cahiers archeologiques II), Paris, 1968
Golvin, L.  L'art religieux des Umayyades de Syrie, Paris, Klincksieck , 1971

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