sabato 30 aprile 2011

La Chiesa di Sant'Alfoso de' Liguori e l'Icona della Madonna del Perpetuo Soccorso.Roma

In zona Esquilino, a pochi metri dalla maestosa basilica di Santa Maria Maggiore, sulla via che porta a San Giovanni, via Merulana, si incontra questa chiesa consacrata al Santissimo Rendentore e dedicata a Sant'Alfonso Maria de' Liguori, fondatore della congregazione dei Redentoristi, o Padri Liguorini.


L'edificio si trova arretrato rispetto al perimetro stradale ed è sopraelevato e protetto da una cancellata. Una scalinata in marmo bianco conduce al portale della chiesa classificata come primo esempio di "gothic revival" o neogotico. Fu eretta ex novo tra il 1855 e il 1859, sotto il pontificato di Pio IX, su progetto dell'architetto inglese George Wingley.Il progetto di Wingley in realtà era in stile neogotico ma con forti influssi regionali del centro Italia e con scarso verticalismo.
Il luogo in cui sorge la chiesa è quello in cui si trovava Villa Caserta, o Caetani, che venne acquistata e trasformata in chiesa e convento. Secondo la tradizione durante la costruzione fu trovata una moneta d'oro veneziana con l'effige del Redentore.
Quando nel 1866 la chiesa venne ad ospitare  l'Immagine della Madonna del Perpetuo Soccorso, in precedenza posta nella chiesa di San Matteo, sempre in Via Merula, e distrutta agli inizi dell'800, si decise di abbellire la chiesa e impreziosirla con marmi colorati, bronzi cesellati e pitture che imitavo mosaici.
L''edificio fu notevolmente modificato a fine secolo da Maximilian Schmalzl, redentorista e illustratore di pubblicazioni liturgiche, che conferì alla chiesa l'aspetto attuale in tutto corrispondente ai cononi della corrente archiettonica nordeuropea in voga all'epoca a Roma. Ne risultò un'aula di culto con endonartece con navata centrale e due navatelle con sei cappelle per ognuna. Fu in quell'occasione che venne posizionata la scalinata antistante.
Nel timpano centrale, all'esterno, è riprodotto l'immagine della Madonna del Perpetuo Soccorso in mosaico policromo, al di sopra la statua del Santissimo Redentore. Nei timpani laterali ci sono invece Sant'Alfonso e San Clemente Hofbauer. In alto, al centro della facciata un rosone con l'immagine dell'icona della Madonna.




Soprattutto l'interno la chiesa subì i maggiori cambiamenti come la costruizione un matroneo con trifore sopra le cappelle laterali. Le pitture orginarie furono sostituite da marmi e nuovi affreschi. Anche il pavimento fu completamente rifatto.


Nell'abside si trava il mosaico di Cristo Redentore tra la Vergine Maria e San Giuseppe realizzato nel 1964.


Nell'abside è conservata l'icona rappresentante la Madonna del Perpetuo soccorso di scuola cretese del XIV secolo dipinta su tavola di legno. L'icona vede raffigurata la Madonna con in braccio Gesù bambino e ai lati gli arcangeli Gabriele e Michele con i simboli della Passione: la lancia, la spugna, la croce e i chiodi.
Colpiscono alcuni particolari: Gesù rivolge lo sguardo alla croce e con le mani si aggrappa alla Madre afferrandole il pollice. Un sandalo di Gesù è slacciato e penzola dal piedino. Delle lettere greche identificano i personaggi.
Secondo la tradizione l'icona venne rubata da un santuario sull'isola di Creta nel XV secolo. Fu un mercante a compiere il gesto e questi la nascose tra le sue merci e salpò per l'occidente. Purtroppo la barca naufragò ma miracolosamente tutti si salvarono. Il mercante a quel punto custodì la preziosa e miracolosa icona fino alla morte, quando la affidò ad un amico che promise di donarla ad una chiesa ma così non fu. Solo quando anche questo personaggio morì la Madonna apparve in sogno alla figlioletta la quale riferì alla madre che la Vergine aveva espresso il desiderio di essere portata nella chiesa di San Matteo. La madre si convinse a portare l'icona nella chiesa solo il  27 marzo del 1499, dopo che aveva già disobbedito diverse volte al volere della Vergine ed era caduta gravemente malata.  Guarì solo dopo aver toccato l'icona. Questa venne conservata a San Matteo fino a quando le truppe napoleoniche non distrussero la chiesa e l'icona fu traslata nella chiesa di Santa Maria in Posterula, nascosta e dimenticata.
Quando i Redentoristi entrarono in possesso del terreno dove prima sorgeva la chiesa di San Matteo per costruire la loro Casa Generalizia a Roma riuscirono a recuperare l'icona della Madonna nel 1866 e da allora viene custodita e venerata nella chiesa del Santissimo Redentore.
L'icona fu sempre molto venerata nella città di Roma e in tutto il mondo tanto che sono molte le copie riprodotte e i santuari a lei dedicati e molti fedeli ogni anno si recano al santuario per chiedere una supplica alla Madonna.
Nelle vicinanze della chiesa , sul lato opposto della strada, su un muro di uno dei palazzi è stata posta una copia dell'icona a ricordo della casa dove fu custodita per anni prima di essere donata alla chiesa di San Matteo.
Durante il restauro degli anni '90 le analisi al radiocarbonio confermarono la datazione del legno al XIV-XV secolo mentre dall'analisi artistica venne fuori che la pigmentazione della vernice risaliva al XVII secolo spiegando la commistione di elementi orientali e occidentali nella resa dei volti.

La statua di Cola di Rienzo a Roma




Salendo lungo la scalinata che conduce a piazza del Campidoglio, sull'omonimo colle, sulla sinistra, si trova un monumento a cui in genere non si presta molta attenzione e che invece racchiude una parte della storia di Roma. Si tratta della statua di Cola di Rienzo.
Il monumento  in bronzo fu realizzato nel 1871 da Girolamo Masini mentre il basamento è leggermente più tardo ed è ad opera di Francesco Azzurri composto di rilievi marmorei di epoca romana che proverrebbero dalla vicina chiesa dell'Ara Coeli e il cui scopo è probabilmente quello di ricordare il legame tra l'antica Roma e l'operato di Cola di Rienzo.



Solo una scritta "Cola de Rienzi", poco visibile identifica il personaggio raffigurato.



Cola di Rienzo è ritratto in uno dei momenti in cui soleva arringare la folla con i suoi discorsi ammaliatori e carichi di passione. Non a caso lo sguardo della statua è molto intenso e lascia trasparire l'ardore con il quale Cola aveva intrapreso la sua missione. il gesto di levare la mano verso l'alto è carico di suggestione.



Se  la mano destra è levata al cielo la sinistra impugna la spada. Ai suoi piedi è stato posto un capitello corinzio di spolio.




Cola di Rienzo (1313-1354), nato e morto a Roma, divenne un personaggio famoso nonchè discusso per il suo tentativo, in parte riuscito, di riportare la repubblica in una città come Roma logorata da continue lotte intestine. Dotato di grande intelligenza e di ottime capacità oratorie, si scagliò fin da giovane verso i baroni che sottomettevano Roma tanto di lamentarse anche con lo stesso papa, all'epoca Clemente VI.
Fu lui a ritravare al Laterano la lex de imperio vespasiani con la quale il senato aveva conferito a Vespasiano il potere e che egli utilizzò per sottolineare come ritenesse giusto che fosse solo il popolo a concedere il potere. Così insieme ad un gruppo di cittadini che condivideva i suoi ideali salì al Campidoglio  e arringò la folla proclamando gli ordinamenti del buono stato: Roma doveva ricordare il suo glorioso passato ed essere governata da esponenti del popolo. Cola si fece proclamare tribuno del popolo e fronteggiò le ire dei baroni romani con il sostegno della popolazione.
Per un breve periodo Roma sembrò aver riacquistato il suo antico prestigio e Cola godeva di grande rispetto ma purtroppo il grande potere che aveva acquisitò lo portò all'esagerazione trasformandolo in tiranno amante del lusso. Il popolo finì per abbandonarlo e Cola, per sfuggire ai baroni, dovette riparare ad Avignone da papa Innocenzo VI che si dimostrò benevolo rifiutandosi di scomunicarlo e  rimandandolo a Roma. Il popolo nonostante tutto lo accolse con entusiasmo e al Campidoglio ascoltò ancora una volta la sua arringa ma ormai era chiaro che Cola avesse come unico scopo la vendetta e che la sua stabilità fosse gravemente compromessa da un costante stato di ubriachezza. Fu ancora al Campidoglio, per l'ultima volta, che Cola tentò di rabbonire il popolo che intanto si era sollevato contro le sue ingiustizie ma il tentativo fallì miseramente.
Cola tentò di scampare al linciaggio travestendosi da mendicante ma fu scoperto e ucciso. Lasciato appeso per due giorni davanti all'abitazione dei Colonna, tra coloro che lo avevano maggiormente avversato, fu poi bruciato presso il Mausoleo di Augusto e le sue ceneri disperse.

Il motivo che spinse ad erigere in suo onore un monumento al Campidoglio fu quello che in epoca risorgimentale Cola di Rienzo fosse visto come simbolo di un risorgimento incompiuto e antesignano della massoneria nonchè anticlericale e repubblicano. Ecco spiegato perchè un personaggio tanto controverso, che non fu anticlericale ma che cercò al contrario l'appoggio del papato, sia stato omaggiato di un posto d'onore come quello alle pendici del Campidoglio. A lui fu dedicata anche la famosa Via Cola di Rienzo, oggi una delle strade più famose ed eleganti di Roma.



giovedì 28 aprile 2011

Il palazzo di Zimri-Lim a Mari (Siria)

Il sito archeologico di Mari (Tell Hariri) si trova in Siria, non  lontano dal confine con l'Iraq e sul corso dell'Eufrate. Menzionata negli archivi di Ebla del XXIV secolo a.C., Mari era una città di grande importanza il cui splendore venne bruscamente oscurato da Sargon I di Akkad che distrusse la città ma quando l'impero akkadico crollò Mari tornò indipendente.

Il palazzo di Mari risale ad un epoca detta amorrita sebbene i settori più antichi del palazzo risalgano alla III dinastia di Ur (XXII secolo), mentre gli ultimi ampliamenti appartengono agli anni si Shamshi-Adad I.
Attribuito a Zimri-Lim, sovrano di Mari che riconquistò il territorio dopo la parentesi assira, il palazzo attualmente appare come una fabbrica dal perimetro pressoché quadrato di 150 m per lato circa ma sicuramente le dimensioni dovevano essere ben più ampie, come si deduce da una porzione rimasta a sud e racchiusa da una cinta ricurva che sicuramente doveva proseguire.

Lo splendido complesso del palazzo di Mari conta circa trecento ambienti tra stanze cortili e corridoio per un totale di circa due ettari e mezzo. Lo stato di conservazione è sorprendente tanto che al momento della scoperta i muri potevano arrivare anche a cinque metri di altezza. Solo il lato occidentale risulta gravemente danneggiato e quasi del tutto scomparso.
La pianta è tipica mesopotamica: un possente muro di cinta racchiude diversi “quartieri” di stanze e cortili. L’unica porta di accesso è a nord.
Presso il quartiere nord-occidentale c’erano gli alloggi del sovrano e in questo punto il muro di cinta era più spesso.
Il palazzo si presenta diviso in vari settori di cui non sempre è stato è possibile riconoscere la destinazione con certezza. Ciononostante si può affermare che il settore nord-est con la sua corte maggiore, fosse destinato all’accoglienza dei visitatori mentre a sud-est si trovava il quartiere sacro. Nel settore sud-ovest c’era il quartiere residenziale del sovrano o della corte mentre a nord-ovest un secondo quartiere residenziale secondo alcuni destinato alla regina. Tra questi ultimi due ambienti si instaurava una seconda corte con sala del trono annessa
Settore nord-est.
Area di accesso con grande corte e quartiere per la guarnigione delle guardie da dove ci si immetteva in un’altra corte, ben più grande, forse con giardino, e dove avvenivano le redistribuzioni. Da questa sala, sul lato sud si accede alla cappella palatina. Qui è stata rinvenuta un’importante decorazione pittorica in un pannello di almeno cinque registri la cui datazione è la più alta di tutte le pitture murali del palazzo, probabilmente di un periodo non molto successivo alla presa di Mari da parte di Shamshi-Adad I nonostante il gusto arcaicizzante. Si tratta di cinque registri all’interno dei quali si muovono personaggi di medie dimensioni. I colori usati sono esclusivamente l’ocra rosso, il nero e il bianco. Meno impiegati il grigio e il giallo. Lo sfondo è neutro. Le scene riguardano portatori di tributi, scene di guerra e  una processione di pescatori. Ma è nei due registri centrali che le figure sono dominanti e con scene rituali: si tratta della dea Ishtar seduta in trono mentre riceve offerte dal re e circondata da dee minori e altri personaggi. Nel registro in basso è invece il dio della Luna Sin a sedere in trono e a ricevere la libagione del re a sua volta seguito da una dea intercedente e un sacerdote. Dietro il dio Sin un toro androcefalo transita sulle montagne su cui è seduto il dio, mentre dalla parte opposta un personaggio enigmatico in posizione frontale con le braccia allargate rappresenta forse una figura cosmica.  Sempre dal lato sud si passa all’area sacra di sud-est.
Settore sud-est.
Area sacra con vari quartieri  riservati ad attività economiche con annessa cappella palatina e magazzini sopra i quali si trovavano probabilmente,ad un piano superiore, gli appartamenti reali.
Settore nord-ovest.
Vi si accedeva dalla grande corte del settore nord-est raggiungendo il quartiere di ricevimento con una grande sala connessa a sud con altre due sale in successione longitudinali. E’ questo il vero fulcro del palazzo, il settore ufficiale. La grande corte ha restituito numerosi frammenti di pitture parietali risalenti probabilmente all’epoca della dominazione assira. Tra questi il frammento più importante doveva prevedere diversi registri con figure di alti dignitari o re vassalli che seguono un personaggio dalle dimensioni notevoli, forse Yasmakh-Adad figlio e successore di Shamshi-Adad. Nella stessa sala posta accanto all’ingresso alla sala longitudinale successiva, è stata ritrovata, ancora in loco, la pittura più completa dell’intera struttura, la cosiddetta Pittura dell’Investitura, dipinta su intonaco di argilla e alta 1,75 m, oggi al Museo del Louvre e datata al 1770 a.C. I colori sono sempre gli stessi (ocra rosso, rosso arancio, bianco, blu, bruno scuro e nero). Il pannello pittorico è molto ricco per elementi che risultano ancora non del tutto comprensibili ma il fulcro di tutta la rappresentazione è il riquadro centrale diviso in due registri: nel registro inferiore due dee reggono ampolle da cui si diapartono zampilli d’acqua con pesci richiamando il tema della fertilità e della fecondità della natura. Nel registro superiore la dea Ishtar patrona della regalità di Mari, porge al sovrano una barra e una fune, generalemente simboli della giustizia attribuiti al dio Shamash, il tutto in presenza di due dee intercedenti e un altro personaggio maschile con mantello a frange e tiara a corna tipiche di un sovrano forse perché antenato regale divinizzato. In questo si è inteso rappresentare il moemnto dell’insediamento di Zimri-Lim dopo la parentesi assira legittimato dalle divinità. Rispetto a questo riquadro centrale il resto della pittura parietale si sviluppa in modo simmetrico con due alti alberi da ambo i lati, sfingi alate , grifoni e tori androcefali e palme ricolme di datteri accanto alle quali stanno due dee intercedenti. Il tutto è contenuto all’interno di una cornice tipicamente siriana quanto a tipologia. Dalla grande corte di passa ad una sala longitudinale tramite un passaggio centrale in asse con il quale, sul lato sud, era posto un podio in mattoni crudi dove fu trovata la statua in calcare della Dea dalle acque zampillanti, alta circa 142 cm, prima metà del XVIII secolo a.C. e oggi conservata al Museo Archeologico di Aleppo. Probabilmente c’era un’altra statua identifica a decorare il podio della sala alludendo all’acqua della vita e alle sue qualità fecondatrici. All’interno della scultura un condotto interno doveva permettere che l’acqua sgorgasse dall’ampolla che la dea regge tra le mani e scendere anche lungo le vesti dove sono raffigurati i rivoli d’acqua con pesci in rilievo. Questa sala assunse quasi certamente il ruolo di vestibolo che precede la sala del trono ma sembrerebbe anche un modo per separare gli ambienti con funzione secolare a nord, da quelli a sacri a sud. Un seconda sala longitudinale parallela alla prima presentava due aperture laterali invece che una centrale, sia sul alto nord che sul lato sud. Questa era la sala del trono dove si apriva, sul lato est,  un’alta tribuna preceduta da scalinata. Si tratta di un piccolo vano ai piedi del quale è stata ritrovata la statua di Ishtup-Ilum, in basalto, alta 152 cm e datata intorno alla metà del XXII secolo a.C. conservata al museo archeologico di Aleppo permettendo di avanzare l’ipotesi che il piccolo vano fosse in realtà un sacello per conservare le statue degli antenati reali divinizzati e protettori della dinastia amorrea. La ricostruzione della sezione architettonica delle due sale a supposto  una copertura a capriate per la sala del trono e anche i supposti piani superiori. Sul lato ovest, al centro e in asse con la tribuna, un podio in pietra. Più a nord il settore residenziale per il personale addetto alla regina , magazzini, un settore amministrativo,
Settore sud-ovest.
A sud della sala nord-ovest si trovava l’ala riservata all’alloggio del personale del palazzo, ai servizi e un settore amministrativo ed uno riservato alla servitù. In questa zona si trova un grande ambiente da cui cominciò l’esplorazione del palazzo di cui si constatò la straordinaria conservazione degli alzati che oscillano per altezza tra 3.90 e 4,80 metri. Un recente ipotesi prevede che questo vano avesse una copertura a capriate con aperture in alto di tipo basilicale, mentre i vani minori dovevano avere un piano inferiore e uno superiore.
Le grandi dimensioni del palazzo furono dettate dall’esigenza di raggruppare in un’unica struttura le funzioni politiche, economiche, residenziali, amministrative, religiose, artigianali e di immagazzinamento. E’ questo un tipico aspetto dell’età paleobabilonese
La scoperta all’interno del palazzo di Mari di ricchissimi archivi amministrativi ed epistolari ha gettato nuova luce su un periodo storico e una regione geografica scarsamente conosciuti. In un periodo in cui tribù e palazzi convivono in una zona di confine fortemente instabile sono le potenze dell’epoca come Mari, Assiria, Babilonia e Eshnunna a determinare un costante stato di crisi con guerre continue. Alla fine del XIX secolo a.C. in Assiria prende il potere Shamshi-Adad (1812-1780) mentre a Mari sale al trono Yakhdun-Lim (1815-1799) ma sarà il prima a sconfiggere il secondo impadronendosi di Mari dove si installò un governatore, figlio dello stesso sovrano assiro. Ma alla morte di Shamshi-Adad a Mari sale al trono Zimri-Lim (1780-1758). Sarà Hammurabi di Babilonia (1792-1750) a porre fine al ruolo politico di Mari che viene conquistata e distrutta nel 1758.
L’archivio di Mari rappresenta la fonte più importante per questo periodo anche dal punto di vista linguistico vedendo imporsi l’accadico come lingua diplomatica e amministrativa di tutti i palazzi dell’area. Più di 20.000 tavolette descrivono la vita del palazzo, le attività diplomatiche giuridiche ed economiche ma anche gli argomenti più vari
Come già accennato, alcune sale erano abbellite da pitture murali. Negli appartamenti reali sono soprattutto geometrici con bande policrome, trecce in forma di S rovesciate. Ai piedi del muro pliti di gesso con decorazioni in falso marmo. Nella camera identificata con quella del re c’era un postergale composto di elementi di conchiglie e pasta rossa, incrostati in una cornice di legno oggi scomparsa. Sul pavimento del cortile un gioco che ricorda il gioco delle piastrelle forse per il divertimento del re e dei familiari. La decorazione della zona ufficiale è figurata e di ispirazione religiosa. Nella sala delle udienze visibili scene di difficile interpretazione dove si vedono scene di cerimonie religiose in cui è presente il re. Nel cortile che precede la sala del trono scene sacrificali o di investitura.
Si stima che all’interno del palazzo lavorassero circa 800 persone tra uomini e donne.

mercoledì 27 aprile 2011

La basilica di San Crisogono in Trastevere, Roma.

San Crisogono è una delle basiliche paleocristiane più suggestive dell’Urbe. Attraverso la sua storia archeologica, tra muri sovrapposti e affreschi straordinari  ci raccontano ancora una realtà lontana quasi duemila anni.

La basilica si trova nel cuore di Trastevere, in Piazza Sonnino, a due passi dal Lungotevere Sanzio e non lontano dall’Isola Tiberina. Non tutti sanno che, appena 5 metri sotto il manto stradale, si trova la testimonianza spettacolare dell’antichità del culto cristiano nel quartiere.

LA BASILICA ATTUALE
La facciata della chiesa originariamente  si presentava diversamente come sappiamo da alcune antiche incisioni. Il portico a colonne e gli stemmi dei Borghese sono tra le particolarità. A lato, il campanile in stile romanico risale, come il resto del complesso, al XII secolo, per volere di Giovanni da Crema. In seguito il complesso subì gli interventi del cardinale Borghese.

La chiesa medievale venne a sostituire quella antica  probabilmente a causa delle inondazioni del Tevere che avevano innalzato il livello del terreno con i continui depositi alluvionali. Infatti la differenza di livello tra le due costruzioni è di circa 5 metri. In più l’antica aula di culto doveva essere in condizioni fatiscenti.
La nuova chiesa risulta spostata rispetto alla precedente tanto che il suo muro di fondazione divide nettamente l’aula antica in due parti, e fu costruita per volontà del cardinale Giovanni da Crema, come ricordano alcune iscrizioni all’interno, e sempre per opera sua vennero  costruiti nelle vicinanze un oratorio e un convento. Durante il XVI secolo il cardinale Scipione attuò un programma di restauro affidandosi all’architetto romano Giovanni Battista Soria, il quale apportò delle modifiche secondo la moda dell’epoca.
Gli intervanti del Soria toccarono anche la facciata ma lasciando intatta la sua semplicità.
Entrando nella Basilica quella che si respira è l’aria squisitamente barocca. La luce all’interno è rarefatta, la penombra induce al silenzio e al raccoglimento. La chiesa è a tre navate  con transetto, arco trionfale e abside con tre cappelle laterali. La divisione a tre navate è ad opera di colonne di spoglio su cui poggia l’architrave. Il pavimento è in cosmatesco, come in molte altre basiliche romane, mentre il soffitto è ligneo è a cassettoni nella navata centrale e a botte in quelle laterali.
La zona del presbiterio attira l’attenzione sin dall’entrata per la presenza di una splendido baldacchino di XVII secolo che sormonta l’altare sotto il quale sono conservate le reliquie del santo. L’abside mostra stucchi dorati con scene di vita di San Crisogono risalenti anch’essi al XVII secolo, mentre il mosaico raffigurante la Madonna con bambino tra i santi Crisogono e Giacomo è di XIII secolo.
Le cappelle delle navate laterali furono decorate nel corso dei secoli anche da personaggi  illustri come il Guercino, il Cavallini e  il Bernini. Tra quelle di maggiore interesse c’è quella dedicata alla Madonna dove vennero collocati i resti della Beata Anna Maria Taigi, morta nel XIX secolo e romana di adozione, molto venerata a Roma per le sue virtù eccezionali.
Alla basilica paleocristiana si accede dalla sagrestia, accanto alla quale va notato lo splendido altarino in cosmatesco.

LA BASILICA PALEOCRISTIANA
L'attuale quartiere di Trastevere in antichità corrispondeva alla XIV Regione Augustea e successivamente alla VII Regione Ecclesiastica (la più vasta). Formato prevalentemente da depositi fluvio-lacustri e alture con formazione tufacea solcate da torrenti che formavano stagli che conferivano al posto un'aria insalubre. Per ovviare a problemi di percorribilità erano previste strade sopraelevate. Solo con Aureliano (III secolo) il quartiere venne compreso nel pomerio (la cinta giuridico-sacrale che delimitava Roma) e cinta dalle mura Aureliane in opera laterizia con tre porte in corrispondenza delle vie principali (Portuense, Aurelia, Settimiana).
La regione era popolata da gente di ceto umile, molti stranieri e una vasta comunità ebraica. In epoca imperiale erano molte le ville aristocratiche come la famosa Villa Farnesina. Molti erano anche gli horrea (magazzini commerciali) e insulae. Proprio vicino a San Crisogono c'era l'Excubitorium della VI coorte (un distaccamento dei vigili ricavato in una casa privata. L'edificio si trova attualmente 6 metri sotto il manto stradale dandoci la quota dell'abitato antico.
Durante il III-IV secolo ci fu il massimo sviluppo della regione con edifici a carattere pubblico, privato e commerciale.
E' in questo contesto che, nello stesso periodo, si instaura la comunità cristiana di cui conosciamo i 3 tituli che trovarono posto in domus preesistenti: Titulus Ceciliae, Titulus Callisti e il Titulus Chrysogoni.
L’antico luogo di culto si trova attualmente 5 metri sotto il manto stradale e venne abbandonato nel XIII secolo quando venne costruita la basilica soprastante, sicuramente a causa delle continue esondazioni del Tevere che avevano innalzato il livello del terreno con l’apporto continuo di fango. Un fenomeno riscontrabile in tutta Roma.

La zona nord con resti di affreschi. In fondo la scala che permette di accedere alla zona del nartece.
L’impatto con la basilica sotterranea è davvero suggestivo. La scala immette direttamente nella zona dell’abside antico e la visuale dall’alto mentre si scende lascia senza fiato. Proprio nell’abside era posizionata la cosiddetta fenestella confessionis da dove il fedele si affacciava per contemplare le reliquie del santo.

Affreschi della zona nord. Vita e miracoli di San Benedetto


Tracce di affreschi nella zona nord


Tracce di affreschi nella zona nord

Secondo la Passio  San Crisogono sarebbe un santo proveniente da Aquileia martirizzato per decapitazione nel IV secolo e solo in un secondo momento, nel VI secolo, canonizzato. Non si trattava dunque di un martire romano e le sue spoglie furono trasferite a Roma nel VII secolo.

Resti di mosaico nella zona orientale del nartece
L’antica basilica è conservata nella sua interezza per quanto riguarda il perimetro murario ma a causa dei continui rimaneggiamenti in passato la lettura stratigrafica, per dirla con un termine tecnico, è davvero complessa e ancora oggi alcuni punti restano di difficile interpretazione. Quel che è certo che i cristiani del IV d.C. si installarono su un’antica casa romana e ne riutilizzarono le murature.

La zona del nartece a est
La prassi di utilizzare case di privati per svolgere il rito cristinano era molto comune nei primi secoli dell’era cristiana. A queste case veniva dato il nome di domus ecclesiae che spesso venivano ad opsitare i tituli (il termine deriva dal nome del proprietario della casa che di solito era apposto come un titolo all’ingresso), cioè i precursori delle odierne parrocchie. E quello di San Crisogono è uno dei tituli più antichi di Roma.

La zona del nartece a est
Inizialmente lo spazio liturgico era molto limitato ma le continue esigenze e l’ampliarsi della comunità cristiana portarono all’allargamento della domus che ben presto divenne una vera basilica.

Particolare della cripta anulare
Guardando ora queste antiche vestigia è difficile rendersi pienamente conto di come doveva essere l’ambiente in origine. Il visitatore è portato a credere che esso fosse diviso in navate dal possente muro che oggi divide in due la basilica. E’ solo un’illusione: quel muro non è altro che il muro di fondazione della basilica moderna. L’antica basilica di San Crisogono era ad una sola navata.

Veduta della zona sud
L’aula per la preghiera era quindi aperta ma i fedeli potevano arrivare solo a metà della navata: ancora oggi restano le tracce dei muretti divisori che facevano da spartiacque tra la zona destinata ai fedeli e quella dedicata agli officianti.




Analisi archeologica e stratigrafica
II secolo.
Come già accennato la prima aula di culto venne ad impostarsi una precedente domus di II secolo di cui restano pochissime tracce in mattoni nella zona dell'abside, del battistero e della fenestella confessionis.
III-IV secolo.
E’ in questo periodo che la comunità cristiana poté usufruire di una vera basilica mononave in laterizi a cui fu aggiunto  un ingresso monumentale a est in opera listata (mattoni e tufelli) di cui si notano ancora le arcate e che doveva essere un nartece a tre archi di cui il centrale più largo dei laterali. Questa prima aula presentava tre porte e una finestra sul muro nord aperte in una fase leggermente successiva mentre sul lato sud si trovavano due porte e una finestra. Sembrerebbe dunque che la basilica fosse aperta su tre lati che davano su cortili, portici o altri vani (non risultano strade nelle vicinanze) Verso ovest non si è in grado di stabilire se vi fosse o meno un abside vista la presenza del possente muro di fondazione della basilica soprastante ma in caso vi fosse stata essa non doveva essere molto grande visto lo scarso spessore dei muri perimetrali. Sempre nella zona ovest si trovavo sia a nord che a sud due bassi muretti in muratura irregolare di poco posteriori al resto dell’edificio e che dovevano fungere da cancelli, poi demoliti, che probabilmente separavano la zona del presbiterio da quella dei fedeli. Tutta questa zona si trova ad un livello inferiore rispetto a quella che sarà la basilica antica successiva. Ancora oggi è possibile avvertire i dislivello che in alcuni punto forma uno scalino.
Metà V secolo.
La basilica fu ampliata verso ovest con un abside, il tutto in opera mista. Il pavimento venne innalzato di circa 51 cm rispetto alla prima fase e decorato in opus sectile come dimostrano le tracce delle preparazione e alcuni resti. I precedenti cancelli di separazioni furono demoliti (ma restano delle tracce). Quello verso nord è ancora visibile. Vengono innalzati dei pilasti verso est per dividere il nartece dall’aula. Venne aggiunta l’abside che innalzava di 46 cm rispetto al livello del nuovo ampliamento. Ai lati dell’abside vengono aggiunti due vani di diversa grandezza (richiamano per posizione i cosiddetti pastofòri orientali):
Il secretarium, quello verso nord è il più piccolo aveva l’accesso dalla navata. Era probabilmente un ripostiglio per paramenti sacri. Restano tracce di pavimentazione in mosaico e un affresco
Il battistero, il vano a sud, aveva l’accesso solo dall’esterno in origine. Venne obliterato dal muro di fondazione di XII. In origine doveva essere largo il doppio. Ciò è dimostrato anche dal fatto che la vasca battesimale risulta tagliata insieme agli affreschi. In asse con la vasca si trova l’entrata verso ovest che in origine doveva essere fiancheggiata da due finestre. Ne resta solo una verso nord. La fonte battesimale ha un diametro di 2,6 m e consiste in un muro circolare con all’interno quattro muri semicircolari. All’esterno risulta esagonale. Sul fondo ci sono canalette di scolo per l’acqua che immettono in una fogna a cappuccina.
VI-VII secolo.
Le antiche porte e finestre  furono tamponate con un'opera mista differente, tranne la porta più orientale della zona nord che fu invece ristretta (successivamente vi sarà ricavato un piccolo vano). Vengono costruiti i cancelli di separazione tra aula e presbiterio, ora spostati più ad ovest, in opera mista. Attualmente se ne vede solo uno, quello a nord.
VII secolo.
Venne costruita una schola cantorum in un'opera mista diversa da tutte le altre impiegate fino ad ora (tufelli e uno strato di mattoni) e che non si ripete in altre zone della basilica. In realtà questa schola cantorum sembra essere stata il prolungamento del recinto della memoria. Solo quando venne costruita la cripta (VIII secolo) venne trasformata in schola cantorum. Essa andava dall’abside alla navata e copriva la confessione. Ai lati di questa si trovano i resti di scalini frontali.
VIII secolo.
Con Gregorio III (731-741 d.C.) il presbiterio venne diviso dall'aula con un muro in mattoni e tufi e venne progettata la cripta anulare, tra le prime ad essere costruite in tutta Roma. Il muro che separava l’abside dal resto della basilica viene tagliato in due punti a nord e sud per permettere l’accesso a corridoio anulare e al corridoio perpendicolare che conduceva alla fenestella confessionis. Gli affreschi che decorano l’abside e il Liber Pontificalis hanno permesso la datazione di questa ulteriore modifica. La forma del corridoio tende più al ferro di cavallo che al semicircolare grazie ai pilastri posti all’inizio dell’abside per l’appoggio delle lastre di pietra che dovevano fare da soffitto per la cripta e da pavimento per il sovrastante presbiterio. Queste lastre erano inserite in un incavo fatto a scalpello nel muro. Restano ancora tracce della zona di inserimento. Alla cripta si accedeva tramite scale. Entro la curva dell’abside, al di sopra della cripta, si trovavano l’altare e il ciborio in corrispondenza della confessione
IX secolo.
Nel settore nord, in corrispondenza della porta rimasta aperta viene costruita un piccolo oratorio con bassi cancelli al quale si accede tramite pochi scalini determinando così un ulteriore cambio di livello del terreno all’interno della navata.
XII secolo.
I muri perimetrali vengono restaurati. Gli archi dell’entrata vengono chiusi e demoliti e sostituiti con porte e muri in mattoni.
1123 d.C.
La basilica paleocristiana viene abbandonata anche se probabilmente si poteva ancora accedere ad essa dalle scale e la porta rimasta aperta a nord che viene ulteriormente ristretta. Le scale sono contemporanee a questo intervento.


Gli affreschi
La decorazione dell'antica aula di culto è purtroppo molto danneggiata ma ciò che resta ha permesso di capire a quale epoca appartenesse e ci da un'idea di come doveva essere in passato.

Gli affreschi nei pressi della fenestella confessionis.
Sono tra i più danneggiati e scarsamente visibili. Essi risalgono all'epoca di Gregorio III (VIII secolo). Ai lati della fenestella restano solo pochi frammenti di intonaco con tracce di affreschi e la scritta IEZA.
Il breve corridoio rettilineo che porta alla confessione presenta anch'esso degli affreschi: sulla parete sinistra sono raffigurati tre personaggi, San Rufino e San Crisogono affrontati tra due colonnine tortili che dividono il tutto in due pannelli, e Sant'Anastasia. Il primo indossa una clamide rossa su una tunica gialla con fibula sull'omero destro (la presenza di San Rufino si spiega con il fatto che egli fu sepolto nel cimitero di Santa Generosa a cui la basilica di San Crisogono era collegiata). San Crisogono ha invece una tunica bianca con pallio rosso con clavi, tipico dei cavalieri romani. Ha l'avambraccio sollevato con la mano aperta. Infine Sant'Anastasia  veste una tunica con perle, un velo sul capo con fermagli sulla fronte una piccola croce ricevuta con la palma del martirio. Sulla testa un'aureola mentre nella mano destra ha una corona gemmata.

La decorazione dell'abside.
Viene attribuita a Gregorio III per i caratteri stilistici. Si tratta di pitture di dischi di porfido e serpentino inseriti in losanghe (anche a Santa Sabina sull'Aventino si trova lo stesso tipo di decorazione nei triangoli mistilinei in opus sectile marmoreum), ampi dischi con su aste incrociate terminanti in sfere minori (l'ispirazione viene dai tessuti).
Nel catino absidale, in base alla silloge Lauresnamensis I si trovava una iscrizione che correva lungo la linea dello spiccato che si riferiva probabilmente alla decorazione, probabilmente musiva, di Gregorio III.

Gli affreschi del muro sud.
Hanno differenti datazioni. Al VI-VII secolo risale la serie di vela, cioè drappi bianchi con  al centro la croce gemmata e sopra scene di Nuovo Testamento di cui ne restano 4 ma solo una riconoscibile: si tratta della scena dei 3 ebrei nella fornace dove un personaggio ha un libro chiuso in mano, un'altra figura maschile in piedi con pallio bianco con macchie rosse si trova dentro una struttura architettonica color giallo avvolta dalle fiamme. Il tutto era incorniciato da una fascia rossa con scritta VOTUM SOLVIT.
Al di sopra di questi affreschi si trovano altre decorazioni di VIII secolo con il motivo dei vela, immagini clipeate e episodi evangelici. Sono ancora visibili ritratti di santi con didascalie bianche verticali tra cui i martiri Agapito e Felicissimo (quest'ultimo potrebbe essere Sisto III martirizzato con i due santi nel 258 d.C. durante l'impero di Decio e Valeriano) la cui immagine è tagliata da una porta aperta in un periodo posteriore alla decorazione gregoriana la quale è commemorata da una iscrizione che celebra il restauro della basilica.

Gli affreschi del muro nord.
Presentano nella parte bassa affreschi di VIII secolo rappresentanti dei vela mentre al X secolo risale un affresco in due registri: in alto restano solo poche tracce di decorazione perduta al momento della costruzione della basilica medievale (è tagliato dal pavimento); in basso sono rappresentati la Vita e i Miracoli di San Benedetto. Il santo è in trono fuori da una chiesa a due torri e indossa un cappuccio e una aureola. Il momento descritto è quello in cui il santo guarisce un lebbroso, anch'esso rappresentato con corpo maculato. Nelle vicinanze un'altra figura umana e una testa di drago. Il tutto sotto una cornice sostenuta da colonnine. La pittura proseguiva nella parete interna del nartece. Restano ancora tracce di una figura gigantesca e un altro personaggio.


La Basilica di Sant'Agnese Fuori le Mura (Roma)


Sulla Via Nomentana, a circa 2 km dalle Mura Aureliane sorge la Basilica di Sant’Agnese, nella zona  detta ‘suburbio’ proprio perché posta fuori le mura della città. E’ qui che si concentrò la politica monumentale imperiale durante i primi secoli del cristianesimo ed è qui che l’imperatore Costantino fece costruire una monumentale basilica, poi abbandonata e sostituita da quella odierna. Il sito in questione fu scelto perché qui fu portata Agnese, giovane martire durante le persecuzioni di Valeriano o Diocleziano, e deposta in un ipogeo all’interno di gallerie preesistenti. Attorno alla sua sepoltura, avvenuta intorno al IV secolo, si sviluppò una rete di gallerie su tre livelli secondo la prassi, comune all’epoca, di seppellire i fedeli accanto al corpo del martire, alla ricerca del cosiddetto ‘vicinato santo’. Ben presto le catacombe furono intitolate alla giovane santa. Le fonti sono discordi per quanto riguarda anno e modalità del martirio ma sappiamo con certezza che Agnese veniva ricordata già nel 336 d.C. nei calendari della Chiesa di Roma. Il giorno della sua festa è ancora oggi il 21 gennaio (riportato anche nella Depositio Martyrum).
Nelle immediate vicinanze della tomba della santa l’imperatore Costantino, per volere della figlia Costantina, fece erigere una basilica di cui ancora oggi  sono visibili imponenti resti: parte dei muri perimetrali e dell’abside sostenuta da contrafforti a gradoni e con finestre rettangolari.



All’interno della navata centrale doveva trovarsi una piccola area rettangolare absidata ipogea la cui funzione non è ancora stata chiarita. L’edificio era preceduto da un grande atrio. Sul lato meridionale delle antiche mura  si impostava il Mausoleo di Santa Costanza, costruito sempre per volere della figlia di Costantino e dove questa volle essere sepolta. Grazie a scavi effettuati intorno alla metà del secolo scorso si è potuto accertare la destinazione dell’aula come luogo di culto e non come recinto funerario, come si era  ipotizzato fino ad allora. L’aula di culto fu costruita tra il 337 e il 351, periodo di permanenza di Costantina a Roma, ed era del tipo detto “circiforme”, aveva cioè una forma del tutto simile a quella di un circo romano, con deambulatorio continuo (le navate non si interrompono ma girano intorno all’abside). Nella Roma paleocristiana vi erano altre cinque basiliche di questo tipo, tutte di committenza imperiale, e situate nel suburbio: la Basilica Apostolorum sulla via Appia, la Basilica dei SS Pietro e Marcellino sulla via Labicana, la Basilica di San Lorenzo fuori le Mura sulla via Tiburtina, la Basilica Anonima sulla via Prenestina, la Basilica di San Marco sulla via Ardeatina, presso il complesso di San Callisto.
Sempre nel corso del IV secolo la tomba della santa fu sistemata con un sacello quasi del tutto interrato nel fianco della collina e abbellito da papa Liberio (352-366) (“….ORNAVIT DE PLATOMIS MARMOREIS SEPULCRUM  SANCTAE AGNAE MARTYRIS” Liber pontificalis I, 208),  con un altare rivestito da plutei in marmo raffiguranti una bimba in preghiera, oggi visibili lungo le pareti del grande scalone che conduce alla basilica attuale. I plutei furono poi reimpiegati, insieme ad altri materiali, come pavimentazione dello scalone e  riscoperti solo nel XIX secolo.



In seguito fu papa Damaso (366-384) ad ornare il sacello con il suo carme dedicato alla santa, anch’esso posto oggi lungo la scalinata. Inciso su una lastra di marmo dal suo calligrafo, Furio Dionisio Filocalo,  il testo si apre con un “FAMA REFERT” (“Si dice”) ed è in  esometri (i versi eroici virgiliani e omerici). L’intento era quello di dare enfasi al racconto esaltando le doti eroiche della martire della chiesa in modo da ergerla a modello. La mano del calligrafo di Damaso è inconfondibile per l’uso di lettere capitali alle quali sono aggiunti dei  riccioli.

Nel V d.C. il sacello fu trasformato in basilichetta ad una sola navata i cui resti furono ritrovati ai primi del ‘900, oggi non più visibili. E’ probabilmente in questo periodo, forse per opera di Papa Simmaco (498-514), che fu realizzato il grande scalone di accesso ancora in uso (rifatto nel XVI secolo) dove, come si è detto, sono esposti numerosissimi reperti, pagani e cristiani, venuti alla luce con gli scavi del secolo scorso. Lo scalone metteva in comunicazione il livello della campagna (Via Nomentana) con l’ingresso dell’ipogeo.

Solo con papa Onorio I (625-638) la basilica Costantiniana, ormai in rovina malgrado gli interventi di papa Simmaco, fu abbandonata e il nuovo luogo di culto si impostò sulla piccola basilichetta mononave situata proprio sopra la sepoltura della santa, questo perché la volontà di papa Onorio I era quella di costruire un luogo di culto “ad corpus”, cioè a ridosso del corpo del santo, facendo coincidere il luogo di sepoltura della martire, attualmente a circa 6 metri sotto il manto stradale, con l’abside e in particolare con l’altare. La caratteristica fondamentale di questa nuova basilica è quella di essere semi-ipogea, emergendo dal terreno solo dal livello dei matronei in su. Questi ultimi avevano un loro ingresso indipendente mentre alla parte bassa della basilica si accedeva tramite lo scalone. Fu solo nel XVII secolo, per volere del cardinale Alessandro dé Medici che la collina intorno alla basilica fu sbancata creando così un cortile ed un accesso diretto dal piano della basilica stessa.

La basilica onoriana ha un orientamento ovest est (abside rivolta alla via Nomentana) a tre navate, con nartece (al quale si accede tramite lo scalone), abside singolo, matronei su tre lati, colonne e capitelli corinzi  di reimpiego e provenienti probabilmente dalla basilica costantiniana. Il pavimento della navata centrale era in mosaico “cosmatesco”, in seguito sostituito con mattoni e poi di nuovo con marmi provenienti dalla basilica di San Paolo, mentre quello delle navate laterali era in materiale di recupero nel quale è stato ritrovato, nel 1728, il carme di papa Damaso.  

La decorazione della basilica ricorda quella di tradizione bizantina, ricca  d’oro e mosaici, tra i quali spicca quello del catino absidale dove si vedono rappresentate tre figure: Sant’Agnese con diadema di gemme, collana di perle e tunica riccamente decorata che conferiscono alla santa un aspetto regale. Il volto è completamente bianco con due soli punti rossi a sottolinearne le gote. Sotto i suoi piedi una spada e ai lati due globi di fuoco che alludono al martirio avvenuto tramite il fuoco, secondo una delle tante tradizioni. Nelle mani ha il rotolo delle Sacre Scritture. Accanto ad Agnese due pontefici, Simmaco e Onorio I (rispettivamente alla sinistra e alla destra della santa), quest’ultimo porge alla martire un modellino della chiesa da lui costruita, mentre l’altro ha  tra le mani un codice.

L’altare maggiore di Onorio, andato distrutto e sostituito nel XVII secolo con papa Paolo V,  fu eretto in modo tale da ricoprire totalmente la sepoltura  della santa. Anche il ciborio, posto sopra l’altare, fu poi sostituito.
Nella cripta, accessibile dall’abside, riposano le spoglie di sant’Agnese. Il corpo della sorella, santa Emerenziana, fu traslato in loco solo nell’XI d.C. da un cimitero non lontano ma il suo capo è attualmente conservato nella basilica di San Pietro in Vincoli. L’urna con le sante reliquie è oggi visibile attraverso una cosiddetta “fenestella” alla quale si arriva attraverso un corridoio curvilineo costruito solo a metà del secolo scorso.

Le cappelle laterali, tre per ogni navatella, non erano previste nel progetto di Onorio e risalgono ad una fase molto più recente.

Dal lato sinistro  del nartece si accede alla sagrestia e alle catacombe, gravemente distrutte dai sotterranei a volta costruiti sotto le tre navate nel corso del XVIII secolo. Al contrario le gallerie si  conservano ancora  ai lati della basilica, presso l’abside e nella zona del mausoleo di Costanza.
All’esterno, accanto all’abside, fu eretto il campanile quattrocentesco  su due piani con bifore di tipo rinascimentale.

Attualmente la basilica presenta un aspetto molto diverso da quello che doveva avere al tempo della sua costruzione, soprattutto a causa di rifacimenti apportati alla pavimentazione, alle coperture rifatte nel XVII e nel XIX secolo e, non ultima, all’inserimento della decorazione pittorica ottocentesca che spicca nettamente nel quadro d’insieme dell’interno.